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Il secondo pezzo di oggi dedicato a Orson Welles è un estratto da It’s all true. Interviste sull’arte del cinema, edito da minimum fax. Traduzione di Serafino Murri. (Fonte immagine)

Welles torna ai ritmi di un tempo

di Thomas F. Brady

Orson Welles ha ripreso la sua carriera di regista-sceneggiatore-produttore, che era stata interrotta quattro anni fa dalla titanica battaglia con la RKO sul mai terminato It’s All True – battaglia finita, più o meno, con il suo sfratto dagli studios della RKO nel luglio 1942. La sua attività cinematografica successiva si è limitata al ruolo di attore in tre film, finché quest’anno non ha stipulato con la Columbia un accordo di partecipazione agli incassi per realizzare un melodramma, La signora di Shanghai, con la moglie Rita Hayworth nel ruolo della protagonista.

La scorsa settimana, dopo trentacinque giorni sul set di Acapulco, in Messico, Welles ha cominciato a lavorare in studio al film con l’entusiasmo di un tempo. Alla fine della giornata era ancora piuttosto prodigo della sua vitalità, sebbene si lamentasse di avere bisogno di un medico perché la notte non riusciva a dormire. Il suo medico curante, ci ha detto, si era rifiutato di aiutarlo e lo aveva abbandonato alle notti in bianco.

Nel mezzo della sua arringa, Welles ha lanciato un’occhiata severa ai tecnici che stavano preparando l’ultima inquadratura della giornata, poi ha esclamato: «Vedo troppa lentezza da queste parti. Qualcuno vada a mettere sotto pressione quella gente». Quando un solerte scagnozzo ha urlato: «Ehi, muoviamoci», Welles ha replicato duramente: «Così non basta. Valli a strigliare come si deve».

Un attimo più tardi, dopo un rapido controllo della gru dov’era piazzata la macchina, Welles ha fatto una pausa per discettare del suo passato. Il passare del tempo, ha detto, ha dissolto tutti i rancori che correvano tra lui e la RKO. La stampa di Hearst, comunque, ancora evita di menzionare il suo nome perché il suo primo film, Quarto potere, presentava in maniera poco rispettosa l’editore di una catena di giornali. Ha aggiunto che la maggior corsivista di Hearst a Hollywood non gli rivolge mai la parola prima di aver bevuto due cocktail, anche se, a dispetto dei suoi ripetuti affronti, lui l’ha sempre trattata con una cortesia da gentleman britannico.

Welles ha anche detto che vorrebbe comprare dalla RKO il girato di It’s All True e ultimare il film per dimostrare che aveva ragione lui. Il film è tuttora fermo in un caveau di Salt Lake City per via delle tasse californiane, ma, ha proseguito, lui non è mai riuscito a mettere da parte abbastanza soldi per gestire il progetto in prima persona, e non è riuscito a trovare un finanziatore che rischiasse il proprio capitale nell’impresa.
Si è poi interrotto per ordinare a una giuria di dodici comparse che dovevano prendere parte alla scena, di fronte alla macchina da presa, di guardare la signora Hayworth, che era sul banco dei testimoni, «con interesse lascivo».

Quindi ha ripreso la disamina della propria carriera sostenendo che avrebbe intenzione di smettere di recitare non appena sarà riuscito a persuadere l’industria cinematografica a investire unicamente sul suo talento registico.

«Per ora ho un pubblico ristretto», ha detto, «il cui interesse nei miei confronti, tradotto in incassi, è tale da rendere la mia partecipazione sullo schermo un’aggiunta necessaria alla mia scrittura e alla mia regia. Ma a nessun critico è mai piaciuto il mio modo di recitare. Ho una personalità sfortunata. Posso mostrarle, fotogramma per fotogramma, che muovo le sopracciglia molto meno di Ray Milland in Giorni perduti. Se mi fossi
permesso un decimo delle sue espressioni in quella magnifica performance, sarei stato zittito a fischi e grida in sala. Basta che io entri nell’inquadratura e i critici si convincono che sto facendo il gigione. Sono un attore della vecchia scuola. È l’unica spiegazione che mi so dare».

A lui comunque non piace recitare, ha aggiunto, perché quando lavora davanti alla macchina da presa deve farsi la barba tutti i giorni.
Welles è tornato di nuovo sul set dell’aula giudiziaria e, apparentemente soddisfatto della lascivia sui volti delle comparse, ha dato ordine di fotografarli. Subito dopo, un addetto della produzione ha reso noto che una carrozza a cavalli, che era stata spedita dal Messico, era stata fermata al confine dai doganieri. Il mancato arrivo della carrozza ha richiesto una rapida riorganizzazione nell’ordine delle riprese previste per il giorno successivo. Così Welles, seguito da ventitré assistenti e tecnici in fila, ha circumnavigato il teatro di posa in cui stava lavorando e ha stabilito le angolazioni di ripresa per il giorno dopo.

«Domani mattina, alle 11.35 circa, ci spostiamo in questo angolo », ha proclamato in tono imperativo, ma nessuno dei tecnici sembrava prestargli attenzione. Quando la fila si è ridotta a tre individui, Welles si è voltato e ha risposto con garbo all’interprete di una piccola parte che lo ringraziava di averlo ingaggiato per il film. Rispondendo alla domanda di un giornalista, Welles ha detto che la Columbia lo aveva trattato con la più grande generosità che avesse riscontrato fino ad allora in materia di autonomia fiscale e artistica.

Alla fine ha annunciato con lo stesso entusiasmo che doveva scappare per concedersi qualche ora di sonno. A un assistente che evidentemente gli aveva trovato un dottore, ha urlato: «Di’ al dottore che ci vediamo in macchina; mi può visitare mentre torno a casa. Domattina fatemi svegliare alle sei e mezzo; devo andare un po’ ai bagni turchi». Così si è avvolto nel soprabito come se fosse stato una mantella nera, e si è dileguato nelle nebbie della notte di Hollywood.

Presumibilmente il medico, il sonno e il bagno turco gli avranno fatto bene. Secondo un resoconto dallo studio del giorno successivo, pare che Welles abbia diretto la prima scena mentre un barbiere lo radeva e gli tagliava i capelli: una prodezza che neanche Cecil B. DeMille è mai riuscito a eguagliare.

(Dal New York Times, 8 dicembre 1946)

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